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Rabbia, collera, ira

rabbia
Tempo stimato di lettura: 5 minuti

L’emozione sempre presente nella storia dell’umanità

In questo articolo si tenta di spiegare cosa siano la collera e l’ira e quali siano i motivi evolutivi che hanno originato l’emozione dell’ira o della collera talvolta detta anche rabbia.

Rabbia, collera e ira: che che cosa sono?

Alcuni studiosi parlano dell’ira altri della collera ed altri ancora della rabbia. Altri usano i tre termini indistintamente come sinonimi. Molti altri ricercatori preferiscono usare il termine rabbia solo riferendosi ad una malattia infettiva virale che colpisce quasi tutti i Mammiferi e che può essere trasmessa all’essere umano tramite morsi di animali domestici e selvatici. Questa malattia è caratterizzata da lesioni nervose con spasmi muscolari, soprattutto a carico delle aree superiori.

In questo articolo, però si useranno i termini di rabbia, ira e collera come sinonimi in maniera indistinta.

L’ira è un’emozione caratterizzata da una crescente eccitazione che si manifesta a livello verbale e/o motorio e che può culminare in comportamenti aggressivi e distruttivi nei confronti di oggetti, persone o di sé stessi.

Abbassamento e contrazione delle ciglia, labbra strette e tese, narici dilatate e palpebre socchiuse sono le espressioni facciali associate a questa emozione, gesti spontanei di solito inconsapevoli. Inoltre è la causa di un maggior aumento di battito cardiaco e di temperatura delle mani. A livello fisiologico c’è un aumento dei livelli di adrenalina, noradrenalina e della pressione arteriosa.

La collera può contenere risentimento che cova a fuoco lento, accessi di stizza (acuta fitta d’ira che si prova quando si viene feriti nell’orgoglio), scenate di esasperazione ed improvvise fiammate di furore (violenza rabbiosa ed incontrollata). Può essere provocata da una minaccia o da un dolore caratterizzato da un’enorme capacità distruttiva o autodistruttiva. È un’emozione comune a tutti gli esseri umani anche di culture diverse, tutti sono in grado di percepirla e riconoscerla nei loro simili, per questo è considerata un’emozione primaria universale.

Dal punto di vista neuroscientifico

La collera durante il corso dell’evoluzione umana è stata selezionata positivamente perché ha permesso all’uomo di autoaffermarsi, di difendersi da attacchi e da aggressioni in maniera efficace e di marcare il territorio. Ha avuto un effetto complementare all’emozione della paura. Dunque la collera è un’emozione utile per l’individuo ma è negativa a livello sociale. Infatti tutte le comunità hanno sviluppato meccanismi per controllare e canalizzare la rabbia dei suoi membri per evitare che diventino una minaccia per la società.

Dal punto di vista neurobiologico l’ira origina un’attivazione delle regioni orbitali frontali, che sono coinvolti anche nei processi di avvicinamento sociale. Studi neuroanatomici indicano che nella collera intervengono, rafforzandosi e facendo anche da contrappeso fra loro, differenti regioni del cervello, inclusi i tessuti del sistema limbico tra cui l’amigdala, che scatenano l’ira. La corteccia prefrontale invece svolge una funzione regolatrice e moderatrice dell’impulso.

I meccanismi della collera non sono esclusivamente neurali infatti anche l’ambiente sociale in cui si vive e l’educazione ricevuta influiscono sulla propensione a tale emozione. Non è ancora chiaro fino a che punto si tratti di propensione innata. Recenti studi su gemelli omozigoti cresciuti in ambienti diversi dimostrano che questi possono presentare diversi gradi d’inclinazione all’ira.

Dal punto di vista culturale

Il filosofo Seneca nel suo libro “De Ira” del I secolo d. C. descriveva la rabbia come “una follia di breve durata, una passione che fra tutte è la più turpe durante la quale si è più simili ad un animale selvaggio piuttosto che ad un essere umano”. Infatti Seneca e prima di lui Aristotele ritenevano che la causa della collera sorgesse dal sentirsi sminuiti oppure insultati. Riconoscevano l’utilità della rabbia nei guerrieri sul campo di battaglia perché li rendeva più efficienti, ma credevano fosse inappropriata nei luoghi civili come nelle piazze. In questi casi l’ira poteva creare solo disagi come litigi e sfoghi dei quali in seguito ci si sarebbe pentiti. Quindi secondo loro bisognava mantenere il controllo davanti ai primi impulsi di rabbia e riflettere con razionalità sulla situazione.

Nel Cristianesimo l’ira è considerata una dei sette peccati capitali, proprio perché può costituire una minaccia per la comunità.

Nel corso dei secoli l’umanità si è sempre domandata se fosse il caso di esprimerla o meno.

L’idea che dare sfogo alla collera possa essere benefico alla salute affonda le radici nel Medioevo. Secondo tale concezione si pensava che l’ira pur esaurendo gli spiriti vitali del corpo talvolta potesse portare beneficio. In particolare nell’XI secolo il medico mussulmano Ibn Butlān credeva che siccome la collera incanalava calore verso le estremità del corpo, poteva servire a rianimare le persone che dopo una malattia erano privi di forze e riteneva che potesse addirittura curare la paralisi.

Nel Duecento lo scienziato ed alchimista Ruggero Bacone sosteneva che arrabbiarsi di frequente poteva rallentare il processo di invecchiamento, che si credeva fosse causato da un progressivo raffreddamento e rinsecchimento del corpo per l’avvicinarsi della morte. Quindi l’ira era considerata capace di restituire un certo gusto per la vita e la lucentezza associata alla gioventù.

Il medico Lluís Alcanyís in un pamphlet sulla peste edito nel 1460 riportava la storia di un dottore che aveva curato un paziente affetto da un’estrema debolezza facendolo arrabbiare ricordandogli i torti subiti in passato. Il paziente dopo essersi adirato riprese le forze.

All’inizio del Novecento Sigmund Freud sosteneva che le emozioni represse, come può essere l’ira, potessero causare una gamma di sintomi fisici dal mal di testa ai disturbi intestinali. Su questa base una schiera di psicologi e psichiatri in Gran Bretagna e negli Stati Uniti si dedicò ad ideare terapie volte a scatenare la collera accumulata dai loro pazienti.

Un esempio fu la “ventilation therapy” praticata nei centri per la disintossicazione Synanon in California nei tardi anni Cinquanta. Durante le sedute di gruppo i pazienti venivano incoraggiati a provocarsi a vicenda in modo da scavare sempre più a fondo nel loro dolore emotivo. Di solito non bisognava aspettare molto perché qualcuno perdesse il controllo e così si credeva iniziasse la guarigione. Altri esempi sono la “Terapia Primaria” di Arthur Janov e la comunità terapeutica creata da Ronald D. Laing a Kingsley Hall in Inghilterra nei tardi anni Sessanta. Secondo loro uno scoppio d’ira era l’espressione dell’identità autentica di un individuo perché abbatteva quel falso sé che il paziente aveva costruito per gestire meglio la propria esistenza. Questi terapeuti credevano che la rabbia potesse riportare i pazienti in contatto con il oro vero io, liberandoli dalle forme di follia o tossicodipendenza che erano diventate il loro rifugio. In alcuni casi funzionava.

Attualmente però si sa che scatenare attacchi d’ira non è curativo anzi spesso ne stimola di ulteriori. Agli psicoterapeuti oggi non interessa innescare manifestazioni di rabbia ma cercare di capire i motivi che inducono le persone ad averne. Infatti in taluni casi l’ira può derivare dalla repressione di altre emozioni che in una certa situazione ci mettono ancora più a disagio come la paura.

In sostanza nel XXI secolo ciò su cui si riflette non è tanto se sia il caso di dare sfogo all’ira per mantenerci in salute, quanto quali reali emozioni si stia in realtà tenendo a freno in quel momento, esprimendo ciò con la rabbia.

Conclusioni

In conclusione l’ira è un’emozione comune a tutti gli esseri umani al di là delle culture. La collera presenta dei lati positivi perché permette agli esseri umani di difendersi da attacchi ed aggressioni in maniera efficace e di marcare il territorio. Nel contempo però, se non tenuta sotto controllo, può risultare negativa e pericolosa per una comunità. Pertanto è importante tenerla a freno affinché non diventi distruttiva o autodistruttiva e capire i motivi che inducono la persona a provarla.

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