intervista a massimo priviero

…e ancora sul potere della musica

Tempo stimato di lettura: 3 minuti

Intervista a Massimo Priviero

Come ho spiegato nel mio precedente articolo, la bellezza della musica sta nel non farci sentire soli, nel condividere emozioni con gli altri, nell’immortalare un evento associandolo ad una canzone.

Massimo Priviero

Allora, per capire meglio il potere della musica nella nostra vita, abbiamo chiesto un parere a Massimo Priviero, che in 30 anni di carriera ha ricercato un tipo di comunicazione basata proprio sulla condivisione di “un certo modo di stare al mondo” che ha fatto riconoscere il suo pubblico nei suoi brani suscitando uno scambio emozionale molto forte.

Quali aspettative deve soddisfare, per te, la realizzazione di un brano? Anche per chi crea, come per chi ascolta, c’è una ricerca introspettiva che porta ad una maggiore consapevolezza di sé?

La musica, per quel che mi riguarda e non solo da quando 30 anni fa iniziai ad incidere i miei dischi, è prima di tutto la mia parte emotiva. Attenzione però! La musica è essenzialmente una combinazione giusto tra parte emotiva e matematica. E’ un concetto che non va mai scordato. Dunque venendo alla tua domanda quel che chiami consapevolezza si traduce in consapevolezza emotiva e matematica. Ora, l’emozione che viaggia con la musica ha in più una cifra che chiameremmo culturale. Nel senso che un uomo si emoziona o si commuove ascoltando Bach e guardando l’infinito ma pure può farlo sentendo una canzonetta alla radio mentre lava la macchina. In tutte le espressioni artistiche e nella nostra percezione dobbiamo dunque aggiungere il nostro bagaglio di cultura e di spessore intellettuale che è naturale ma che è ovviamente soggettivo. Tutto questo si traduce in un artista in un modo o in un altro di comporre e di cercare certi livelli di coinvolgimento e comunicazione. Senza dimenticare mai che un atto compositivo è un atto di totale solitudine che poi si cerca di condividere.

Trovi che esista un coinvolgimento diverso nello scrivere canzoni allegre o canzoni tristi? E’ vero che le canzoni tristi si prestano ad una maggiore accuratezza e profondità del testo?

No, non è del tutto vero. Prima di tutto è una distinzione che ha poco senso ma, prendendola pure per buona, torni sempre al punto che la scrittura e in generale il processo artistico è come dicevo un atto di solitudine e dunque i tasti che tocchiamo sono quelli più intimi che ci portano poi a sperare di “condividere” questo atto di solitudine. Se tengo buona la distinzione “canzone triste canzone allegra” potrei solo aggiungere che scrivere una canzone “allegra” è molto molto difficile. Ovvio che non mi riferisco alla banalizzazione del concetto che non mi interessa. Ma, credetemi, scrivere “What a wonderful world” e pure “Volare” è un mezzo miracolo. Viceversa, scrivere una canzoncina allegra è mestiere banale e assai semplice. Poi non farei una distinzione sulla cifra del testo. Spesso il testo serve solo a far suonare più o meno bene una melodia. Chiaro però che quel che cerchi è una melodia importante sorretta anche da parole importanti. Felici o tristi o malinconiche o quel che preferite voi. Ma, non scordare che torniamo sempre al concetto di nascita in solitudine di cui accennavo, per cui è sempre da lì che dovete partire.

Quanto sei d’accordo sul diverso modo di approcciarsi all’ascolto di un brano da parte di un professionista e di un profano? E, nel tuo caso, come vivi l’ascolto di una canzone che ascolti per la prima volta?

Come dicevo prima, c’è un carico che chiameremo culturale che va sempre aggiunto. E sempre come dicevo prima c’è una parte emotiva e una matematica che cercano equilibrio. Nel senso che io posso apprezzare la matematica di una musica anche se non mi dice nulla emotivamente e vale pure il concetto contrario. Per quanto riguarda il mio vissuto, sulle mie cose posso solo dirti che spesso ho avvertito una cifra più forte di un’altra da subito, diciamo all’atto già della scrittura e della prima esecuzione. Questo è però spesso inspiegabile a priori. Sarà questione di ingredienti, di evocatività, di momenti, di un quid che ti spieghi a fatica. Però, credimi, arriva comunque sempre il momento in cui ti dici “Ecco, questa canzone vola più in alto di un’altra”. Almeno questo accade per me. Allo stesso modo, può naturalmente accadere quando ascolti per la prima volta qualcosa che non hai scritto tu e che ti arriva più forte di altro.

Secondo la tua esperienza personale, cosa cerca (e cosa trova) il tuo pubblico nell’ascolto delle tue canzoni?

Ah, non hai idea di quante volte me lo sono chiesto! Ecco, diciamo che se dovessi scegliere un unico concetto ti direi “forza di vivere”. Nelle cose più “rock” e più suonate come nelle cose più “acustiche e solitarie” probabilmente troverai questa forza. Attenzione, parlo di “forza di vivere” non di “gioia di vivere” sono concetti per me parecchio diversi. Questa forza può generare condivisione e un sentire comune e può tradursi, giusto come dicevi prima, in un modo di fare musica che diventa anche un modo di stare al mondo.

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