IL TATUAGGIO È DAVVERO SOLO UNA QUESTIONE ESTETICA?
Il tatuaggio rappresenta un simbolo, la cui immagine richiama qualcosa al di là di se stessa. La diffusione sociale di questo elemento figurativo, unitamente alla sua carica simbolica e allegorica, ha spinto alla creazione di numerosi modelli interpretativi volti a dare un significato alla presenza e alla motivazione allo stesso sottesa. In poche parole si è cercato di comprendere il motivo per il quale gli esseri umani, appartenenti a genere, età e culture diverse, sono così diffusamente dediti all’applicazione del tatuaggio.
La prospettiva etologica legge nel tatuaggio una funzione adattiva, data la sua capacità di intrinseca di porsi come un segnale e richiamare l’attenzione dei propri simili. Più di ogni altro monile o acconciatura, infatti, il tatuaggio potenzia lo visibilità di chi lo sfoggia, e questo può tradursi in una più alta possibilità di essere notati dal partner a fini riproduttivi. Così, esattamente come la coda del pavone serve ad attirare l’attenzione delle femmine, e dunque per fare sfoggio di una possibilità riproduttiva più alta e caratteri immunitari resistenti, il simbolo del tatuaggio, nel genere umano, potrebbe porre l’individuo in una condizione di ammirazione, valutazione, o quanto meno di attenzione da parte dei propri simili. Il tutto, si è detto, con finalità puramente riproduttive e di continuazione della specie. D’altro canto, limitare l’intenzione sottesa al tatuaggio ad una mera volontà di scelta del partner, sembra riduttivo di tutte quelle caratteristiche razionali ed emotive che caratterizzano la natura umana, sottraendone le scelte da una dimensione puramente istintuale.
In primo luogo il significato del tatuaggio è strettamente legato al contesto storico-culturale di riferimento, e il suo significato può variare notevolmente in base allo spazio e al tempo nel quale viene praticato. Ma differenze sostanziali possono rilevarsi anche in base all’età, allo stato sociale e allo stadio evolutivo dell’individuo, che al tatuaggio, sulla base di tali discriminanti, può conferire molteplici valori e significati. Ad esempio in un adolescente il tatuaggio può simboleggiare la volontà di emanciparsi dall’autorità genitoriale e di affermare la progressiva acquisizione di una condizione adulta; può essere ancora un mezzo di protesta, una ribellione alle regole costituite che celano la volontà del soggetto di opporsi ad un conflitto, ad un impedimento derivante dall’esterno; nel caso dell’adolescente il tatuaggio può fungere da marchio di identità, ispirata dall’esigenza di affermare un modo di essere, ma anche un mezzo per suggellare, affermare, rendere esteriore e in un certo senso indelebile la propria unicità. Nello stesso modo in cui un bambino di 2-3 anni afferra gli oggetti e li scaglia a terra per testare la propria esistenza, distaccarsi dall’ambiente materno e affermarsi come soggetto uno e unico, allo stesso modo l’adolescente si tatua una verità interiore sulla pelle perché il resto del mondo ne venga a conoscenza. È quasi come trasferire un contenuto intrapsichico nella realtà esterna, quasi come dire al resto del mondo, io sono così, io sono questo. È una presentazione immediata, una segregazione volontaria del Sé che serve anche da richiamo sociale.
Ma se è possibile attribuire al tatuaggio un valore distintivo, in grado di esaltare l’individualità rispetto alla massa, è specularmente corretto riconoscere allo stesso un intento sociale, in cui il senso di accettazione da parte della collettività svolge un ruolo dominante. Soprattutto in determinati stadi evolutivi in cui il riconoscimento del gruppo equivale ad una conferma esistenziale -si veda ancora l’adolescenza- il tatuaggio può anche corroborare il senso di appartenenza ad una collettività, configurandosi come un meccanismo di identificazione con l’altro, e dunque un atto di conformismo dettato dalla volontà di aderire in maniera acritica ad un modello sociale etero imposto.
LA FUNZIONE COMUNICATIVA NON VERBALE DEL TATUAGGIO
In un’epoca in cui i valori vanni diluendosi, i rapporti si rarefanno e la comunicazione viene mortificata dai mezzi informatici, il corpo può costituire un’ ancora di salvezza, un punto fermo grazie al quale è possibile esprimere la propria volontà di espressione, di rottura, di riscatto. Il corpo diventa una sorta di oggetto transazionale utile ad affrontare il senso di perdita del Sé, ed è proprio sul corpo che viene scritto ciò che si vuol rendere indelebile. Un’emozione, una storia, un evento che ha segnato un tratto esistenziale incancellabile e che le parole non saprebbero esprimere in maniera più efficace. Al tatuaggio va dunque riconosciuto l’identità di strumento di comunicazione non verbale , utile ad aggirare l’utilizzo della parola in tutti quei casi in cui il contesto specifico o la personalità dell’individuo ne rendono disagevole l’utilizzo.
È una comunicazione sensoriale dall’innegabile impatto visivo, uno stimolo evocativo che si rende immediatamente saliente: di colpo, nel vedere un tatuaggio praticato sulla pelle di qualcuno, l’attenzione di chi osserva viene attirata su di esso, come se non esistesse null’altro. La persona diventa un tutt’uno con il simbolo figurativo, fino a formare con lo stesso una gestalt armonica in cui proprio il tatuaggio è l’elemento percettivo che spicca sullo sfondo.
VALORE PSICOPATOLOGICO DEL TATUAGGIO: TRA SCIENZA E MITO
La letteratura psicologica ha ipotizzato che il tatuaggio possa costituire la proiezione di un’angoscia interiore incontrollabile e incoercibile, un’aggressività la cui natura predatoria viene scaricata nel simbolo con una larvata intenzionalità catartica. A sostegno di ciò, alcuni psichiatri hanno riscontrato come la presenza di tatuaggi sia correlata con casi patologici quali una più alta percentuale di suicidio, atti auto lesivi e aggressività etero diretta. Si rileva inoltre una certa correlazione tra soggetti tatuati e dipendenze da sostanza stupefacenti, specie tra gli adolescenti, e un elevato numero di tatuaggi all’interno della popolazione carceraria. Testimonianza di come il tatuaggio potrebbe rappresentare il sintomo di una personalità deviata. Questa interpretazione -per certi aspetti lombrosiana- ha recentemente subito rivisitazioni volte ad indebolire l’automatismo associativo tra tatuaggio, psicopatologia e atteggiamento violento e ad incrementare al contrario una visione che ne esalti la componente figurativa, culturale ed espressiva.
OPINIONI E CONCLUSIONI SUL TATUAGGIO
Le opinioni sono dunque numerose, controverse, variegate, intrinsecamente validate da una soggettività interpretative che le rende tutte più o meno attendibili, e al contempo tutte più o meno smentibili. Molto probabilmente gli individui che si tatuano sono mossi dalle più diverse intenzioni, e non tutte necessariamente patologiche o criminale, né tutte precisamente indagabili o identificabili con ragionamenti imprudenti ed euristici. Resta la natura inguaribilmente misteriosa del tatuaggio, e il suo costituire un prezioso metamessaggio che, in quanto tale, concede libertà espressiva e interpretativa non solo a colui che lo produce, ma anche a colui che lo riceve, e che potrà leggere in, attraverso e al di là di esso.
BIBLIOGRAFIA
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